Contratto integrativo aziendale: disdetta dell’iscrizione a Confindustria e disapplicazione

La disdetta dell’azienda all’associazione sindacale dei datori di lavoro, non integra la disapplicazione del contratto integrativo aziendale, nel momento in cui l’azienda stessa attua una costante e prolungata applicazione delle relative clausole al singolo rapporto o di alcune di esse. (Corte di Cassazione, Ordinanza 13/1/2022, n. 935)

E’ quanto ha affermato la Corte di Cassazione con Ordinanza del 13 gennaio 2022, n. 935, chiamata a decidere sul caso di un’azienda che successivamente all’atto di disdetta di adesione all’associazione nazionale di rappresentanza delle imprese – Confindustria – aveva continuato ad erogare ai lavoratori diverse voci retributive previste dal contratto integrativo interaziendale, mentre si rifiutava di pagarne altre. Rifiuto ritenuto pertanto illegittimo.

La Corte di merito ha affermato che la società, “ha continuato ad erogare tante e significative voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie, previste proprio dal contratto integrativo interaziendale (come “ex ristrutturazione salariale”, “premio di produzione”, “premio di produttività e qualità”, “premio di partecipazione – parte fissa”, “buoni pasto”)”.
Dalla costante e prolungata applicazione di tali istituti, la Corte Suprema, ha desunto che la ricorrente, pur avendo dato la disdetta dall’associazione sindacale dei datori di lavoro, implicitamente avesse mantenuto l’applicazione della contrattazione collettiva.
Principio più volte affermato dalla Corte (cfr. Cass. n. 24336 del 2013, 10213 del 2000, 10375 del 2001): la valutazione che porta a ritenere sussistente l’implicito recepimento di un contratto collettivo attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole al singolo rapporto costituisce un accertamento di fatto spettante al giudice di merito, insindacabile nella sede di esame.

Pertanto, la Corte di merito ha compiuto siffatta valutazione, pervenendo alla conclusione della adesione implicita, da parte della società, alla contrattazione collettiva. Peraltro, la società ricorrente nemmeno ha indicato ulteriori istituti contrattuali (del contratto integrativo interaziendale) dalla medesima non applicati (oltre al premio di partecipazione – parte variabile) al fine di escludere tale adesione, limitandosi ad affermare che per conseguire tale effetto fosse necessaria una costante e prolungata applicazione di “tutte” le clausole pattizie.
In conclusione, la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dalla società.

Obblighi contributivi per incarichi fuori ruolo presso istituzioni UE: chiarimenti


L’Inps riepiloga la normativa nazionale che regola gli obblighi contributivi relativi ai dipendenti pubblici durante il periodo di collocamento fuori ruolo per assumere un impiego o espletare un incarico presso Enti ed organismi internazionali, fornendo chiarimenti sugli obblighi contributivi dei datori di lavoro pubblici in relazione agli incarichi temporanei presso le Istituzioni UE e sulle facoltà riconosciute ai dipendenti a seguito della cessazione del rapporto di lavoro nazionale o di quello presso l’Unione europea, ovvero a seguito della stabilizzazione del rapporto di lavoro temporaneo (Circolare 14 gennaio 2022, n. 7).

Tutela previdenziale


I dipendenti delle pubbliche Amministrazioni che sono collocati fuori ruolo, per assumere un impiego o un incarico temporaneo presso Enti o organismi internazionali, nonché per esercitare funzioni presso Stati esteri, sono tutelati agli effetti del trattamento di quiescenza e di previdenza.
Quelli collocati fuori ruolo che assumono un impiego o un incarico temporaneo presso le Istituzioni dell’Unione europea godono di un particolare regime previdenziale, derivante dal coordinamento della disciplina nazionale e di quella europea.
I funzionari e gli altri agenti presso le Istituzioni UE sono iscritti ad uno speciale regime previdenziale costituito nel quadro dell’organizzazione dell’Unione (di seguito regime dell’Unione) con un finanziamento e una configurazione completamente autonomi rispetto ai singoli regimi previdenziali dei vari Stati membri. Tale regime è comune a tutte le Istituzioni dell’Unione.
Riguardo al finanziamento del regime di sicurezza sociale europeo, il pagamento delle prestazioni è a carico del bilancio dell’Unione e gli Stati membri garantiscono collettivamente il pagamento di tali prestazioni in base al criterio della ripartizione; il lavoratore, inoltre, deve contribuire per un terzo al finanziamento del regime delle pensioni.
La tutela ai fini pensionistici è assicurata esclusivamente dal Fondo dell’Unione, per la prevalenza del diritto dell’Unione sull’ordinamento nazionale, di conseguenza nessuna contribuzione è dovuta dall’Amministrazione di appartenenza ai fini pensionistici.
Tuttavia, per i dipendenti pubblici iscritti alla Gestione Pubblica permangono gli obblighi contributivi ai Fondi ex ENPAS ed ex INADEL relativi al trattamento di previdenza (TFS/TFR), alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, alla gestione ex ENPDEP e all’ENAM, in quanto finalizzati ad assicurare prestazioni diverse da quelle previste dal regime previdenziale dell’Unione europea. Tali obblighi devono essere rapportati alla retribuzione virtuale, corrispondente alla retribuzione che sarebbe spettata al dipendente se fosse rimasto in servizio, non collegata alla prestazione di lavoro.
Per i dipendenti pubblici iscritti alla Gestione Privata, non sussiste l’obbligo contributivo IVS, ma l’Amministrazione di appartenenza del dipendente collocato fuori ruolo è tenuta, ove le rispettive prestazioni non siano garantite dalle norme che disciplinano il Fondo dell’Unione, all’adempimento degli ulteriori obblighi contributivi, calcolati sulla retribuzione che sarebbe spettata al dipendente se fosse rimasto in servizio, già dovuti in costanza di rapporto di lavoro.

Cessazione o stabilizzazione del rapporto di lavoro con l’UE: facoltà concesse ai lavoratori


Nel caso di funzionari che possano far valere periodi assicurativi dopo la cessazione del servizio presso l’Unione o prima della loro assunzione presso la stessa, la possibilità di operare una ricongiunzione delle posizioni previdenziali acquisite, rispettivamente, nell’ambito del regime pensionistico comunitario e degli ordinamenti di sicurezza sociale vigenti negli Stati membri.
Con particolare riferimento al personale dipendente delle pubbliche Amministrazioni collocato fuori ruolo per assumere un impiego o un incarico temporaneo presso l’UE, possono individuarsi le seguenti ipotesi alternative:
– il dipendente collocato fuori ruolo dall’Amministrazione pubblica di appartenenza, che cessi il suo incarico presso l’UE per riprendere servizio con iscrizione ai Fondi o alle Casse pensionistiche dell’INPS, può presentare una domanda diretta ad ottenere il trasferimento presso l’ordinamento pensionistico nazionale dell’equivalente attuariale dei diritti pensionistici maturati nel regime dell’UE, attualizzato alla data del trasferimento effettivo;
– il dipendente collocato fuori ruolo dall’Amministrazione pubblica di appartenenza, che dopo la cessazione del rapporto di lavoro con l’Amministrazione pubblica continui a prestare servizio come funzionario presso l’UE, può presentare una domanda diretta ad ottenere il trasferimento al regime pensionistico comunitario del capitale, attualizzato alla data del trasferimento, che rappresenta i diritti a pensione maturati nel sistema previdenziale nazionale. In tale ultima ipotesi, poiché il rapporto di lavoro con il datore italiano si è risolto, all’interessato deve essere liquidata la prestazione di fine servizio o di fine rapporto.
La facoltà di cui ai punti precedenti può essere esercitata soltanto una volta per Stato membro e per Fondo di pensione.

Istanze di rimborso dei contributi versati alle Casse e ai Fondi pensionistici dell’INPS


I contributi versati alle Casse pensionistiche, sia della Gestione Pubblica che della Gestione Privata, dalle Amministrazioni pubbliche per i propri dipendenti collocati fuori ruolo per assumere un impiego o un incarico temporaneo presso le istituzioni dell’Unione europea, già tutelati dal Fondo dell’Unione, potranno essere rimborsati dall’Istituto all’Amministrazione che ha effettuato il versamento.
A tal fine, l’Amministrazione deve inoltrare la richiesta di restituzione della contribuzione ai fini pensionistici, sia per la quota a carico del datore di lavoro sia per la quota a carico del lavoratore, alla Struttura territoriale competente a gestire la posizione contributiva dell’Amministrazione medesima, che provvederà a sua volta a regolare i rapporti con il lavoratore.
L’INPS procede al rimborso della suddetta contribuzione afferente al periodo in cui il dipendente pubblico è stato collocato fuori ruolo per assumere un impiego o un incarico temporaneo presso le Istituzioni dell’Unione europea, nei limiti della prescrizione decennale, dopo aver trattenuto gli eventuali importi a proprio credito.
Il corretto importo della contribuzione da restituire per i lavoratori iscritti alla Gestione Pubblica è rilevato attraverso le denunce a variazione trasmesse dalle Amministrazioni con il flusso UNIEMENS – ListaPosPA.
La contribuzione non rimborsata, in quanto versata in assenza dei presupposti dell’obbligo contributivo, non sarà valorizzata ai fini pensionistici.
Qualora i contributi versati alle Casse pensionistiche della Gestione Pubblica abbiano dato luogo alla costituzione della posizione assicurativa presso l’assicurazione generale obbligatoria, anche con eventuale liquidazione dell’indennità una tantum, tenuto conto del periodo di aspettativa fuori ruolo fruita per l’espletamento dell’incarico temporaneo presso l’Unione europea, l’INPS procede alla restituzione dei contributi indebiti.
Sono esclusi dalla ripetizione i contributi relativi ai periodi in argomento già utilizzati, alla data del 14 gennaio 2022, per la liquidazione della pensione. In tali ipotesi la posizione assicurativa dei soggetti interessati si considera consolidata. Per converso, eventuali altre prestazioni (ad esempio riscatti o ricongiunzioni) che siano state definite utilizzando anche la contribuzione indebita e successivamente rimborsata saranno oggetto di riesame.
Non sono rimborsabili, altresì, i contributi versati ai Fondi ex INADEL ed ex ENPAS per i trattamenti di previdenza (TFS/TFR), alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali e alla gestione ex ENPDEP e all’ENAM.

Elaborazione dei flussi Uniemens


Per i periodi durante i quali il dipendente pubblico iscritto alla Gestione Pubblica è collocato fuori ruolo per l’assunzione di un impiego o di un incarico temporaneo presso le Istituzioni dell’Unione europea, l’Amministrazione di appartenenza deve trasmettere mensilmente il flusso Uniemens ListaPosPA avendo cura di indicare il Tipo Servizio 21 “Personale fuori ruolo – art. 1 legge n. 1114/1962 per impiego o incarico temporaneo Unione europea” valorizzando gli elementi <Imponibile> e <Contributo> delle Gestioni a cui il dipendente risulta iscritto all’atto del collocamento fuori ruolo, ad esclusione di quella pensionistica.
La contribuzione deve essere commisurata ad un imponibile rapportato alla retribuzione che sarebbe spettata al dipendente se fosse rimasto in servizio.
Le indicazioni operano a decorrere dal mese successivo al 14 gennaio 2022.
Per regolarizzare i periodi pregressi, entro i limiti prescrizionali, sarà necessario che l’Amministrazione trasmetta, per ciascun periodo già denunciato con il Tipo Servizio 15 “Aspettativa personale fuori ruolo impiego presso enti ed organismi internazionali di cui all’art. 1 della legge n. 1114 del 27/07/1962”, le denunce a variazione, compilando l’elemento V1 Causale 5 con le modalità illustrate al primo capoverso del presente paragrafo.
Per i dipendenti pubblici iscritti alla Gestione Privata le indicazioni relative alla elaborazione delle denunce contributive saranno fornite con successivo messaggio.

Bonus R&S: nessun ostacolo se non si può indicare in dichiarazione


Un contribuente che ha ridefinito la scadenza del proprio periodo d’imposta, originariamente stabilito dal 1° ottobre al 30 settembre, fissandola al 31 dicembre 2020 e che per il periodo d’imposta ultrannuale 1° ottobre 2019 – 31 dicembre 2020 deve inserire nel modello “Redditi SC2021” il credito d’imposta Ricerca e Sviluppo maturato ai sensi della L. n. 190/2014, può beneficiare ugualmente dell’agevolazione, anche se il sistema di controllo automatico, aggiornato al credito R&S di cui alla successiva L. n. 160/2019, non ha consentito l’inserimento del codice B9 riferibile alla corretta annualità (Agenzia Entrate – risposta 17 gennaio 2022, n. 30).

L’art. 1, co. 35, L. n. 190/2014 ha previsto l’attribuzione di un credito d’imposta a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano nonché dal regime contabile adottato, che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019.


Al fine di evitare eventuali abusi, la normativa ha previsto l’indicazione del credito in dichiarazione e stabilito che un professionista, incaricato della revisione legale dei conti, certifichi la documentazione contabile che attesta l’effettivo sostenimento delle spese ammissibili, nonché la corrispondenza delle stesse.


Il termine di applicabilità della citata norma è stato più volte prorogato e definitivamente fissato dall’art. 1, co. 209, L. n. 160/2019, nella fine del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019.


Ciò detto, il modello SC/2021 relativo al periodo d’imposta 2020, prevede che, nella sezione I del quadro RU, con il codice credito “B9” va indicato l’importo residuo del credito d’imposta per le spese in attività di ricerca e sviluppo, istituito dall’art. 3 del D.L. n. 145/2013, come sostituito dall’art. 1, co. 35, L. n. 190/2014, assumendo che il credito sia stato già indicato nelle dichiarazioni annuali dei periodi d’imposta precedenti, mentre nella sezione IV va indicato il solo credito per le attività di R&S contemplato dalla L. n. 160/2019.


Nel caso di specie, essendo il credito maturato nel periodo d’imposta ultrannuale 1° ottobre 2019 – 31 dicembre 2020, lo stesso non può essere esposto né nella sezione I del quadro RU (non trattandosi di un “residuo” proveniente dalla dichiarazione annuale del periodo d’imposta precedente), né nella sezione IV (riservata al credito per le attività di R&S di cui alla L. n. 160/2019).


Conseguentemente, in linea con quanto chiarito con la risoluzione n. 54/E del 2 maggio 2017, nel caso di specie, nonostante l’impossibilità di indicare il credito d’imposta modello SC/2021, il contribuente può comunque utilizzare detto credito in compensazione, fermo restando l’obbligo di osservare le modalità di fruizione disposte dalla disciplina di riferimento e di conservare la documentazione contabile certificata dal revisore (o dalla società di


revisione) a comprova del credito, da esibire ad eventuale richiesta dell’Agenzia delle entrate.

Indennità antitubercolari: importi per il 2022


Variazioni degli importi da corrispondere a titolo di indennità antitubercolari per l’anno 2022 (INPS – Circolare 14 gennaio 2022, n. 6).

Gli importi della misura fissa delle indennità antitubercolari sono correlati per legge (art. 4 della legge 6 agosto 1975, n. 419, e art. 2, comma 2, della legge 4 marzo 1987, n. 88) alla dinamica del trattamento minimo delle pensioni a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
Pertanto, per effetto di quanto determinato dal decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, del 17 novembre 2021, circa la perequazione delle pensioni per l’anno 2021 (in via provvisoria) e il valore definitivo per l’anno 2020 (determinato in via provvisoria in misura pari allo 0% dal decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, del 16 novembre 2020), le percentuali di variazione sono pari rispettivamente a + 1,7% dal 1° gennaio 2022 e allo 0% dal 1° gennaio 2021.
Conseguentemente, gli importi risultano pari a quanto di seguito riportato:

– Indennità giornaliera spettante agli assistiti in qualità di assicurati:
   * € 13,50 (1°gennaio 2021)
   * € 13,73 (1°gennaio 2022)


– Indennità giornaliera spettante agli assistiti in qualità di familiari di assicurato, nonché ai pensionati o titolari di rendita ed ai loro familiari ammessi a fruire delle prestazioni antitubercolari ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 419/1975:
   * € 6,74 (1°gennaio 2021)
   * € 6,85 (1°gennaio 2022)


– Indennità post-sanatoriale spettante agli assistiti in qualità di assicurati (giornaliera):
   * € 22,49 (1°gennaio 2021)
   * € 22,87 (1°gennaio 2022)


– Indennità post-sanatoriale spettante agli assistiti in qualità di familiari di assicurato, nonché ai pensionati o titolari di rendita ed ai loro familiari ammessi a fruire delle prestazioni antitubercolari ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 419/1975 (giornaliera):
   * € 11,25 (1°gennaio 2021)
   * € 11,44 (1°gennaio 2022)


– Assegno di cura o di sostentamento (mensile)
   * € 90,77 (1°gennaio 2021)
   * € 92,31 (1°gennaio 2022)


La procedura automatizzata di liquidazione delle prestazioni antitubercolari è stata adeguata, con riferimento al 2021 e al 2022, con i nuovi importi.
L’INPS rammenta che l’aggiornamento di cui trattasi sarà operato, a decorrere dal 1° gennaio 2022, anche sulle indennità giornaliere, spettanti agli assicurati contro la tubercolosi in misura pari all’indennità di malattia per i primi 180 giorni di assistenza, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 14 dicembre 1970, n. 1088. In ogni caso, se l’indennità di malattia da corrispondere dovesse risultare inferiore all’indennità giornaliera prevista nella misura fissa di euro 13,73, dovrà essere erogata quest’ultima.

Revisori legali: istruzioni operative sull’obbligo formativo


Fornite istruzioni operative circa l’imputazione dei crediti formativi agli anni 2017, 2018 e 2019 per i revisori legali (Ministero dell’economia e delle finanze – Circolare 17 gennaio 2022, n. 3).

L’articolo 5 del decreto legislativo n. 39 del 27 gennaio 2010 ha introdotto l’obbligo della formazione continua obbligatoria a carico degli iscritti al registro della revisione legale dei conti, recependo in tal modo le disposizioni dell’articolo 13 della direttiva 2006/43/CE, secondo cui l’attività formativa in discorso è obbligatoria e il mancato aggiornamento deve essere sanzionato a cura degli Stati Membri. Il comma 4 dell’articolo 27 del decreto legislativo 17 luglio 2016, n. 135, poi, ha disposto che la vigenza decorresse a far data dal 1° gennaio 2017.
In relazione all’assolvimento dell’obbligo formativo da parte degli iscritti, si sono registrate da subito diverse difficoltà, riconducibili al complesso processo di transizione a una disciplina molto articolata e relativamente severa rispetto a quella vigente anteriormente alla riforma, alla eterogeneità delle provenienze ed esperienze professionali degli iscritti, nonché alla diffusa mancanza di chiarezza circa i compiti, doveri e responsabilità dei revisori. Ne è risultata una rilevante quota di inadempimento, da parte della popolazione degli iscritti al registro rispetto all’obbligo formativo; la percentuale dei revisori inadempimenti, pur in costante riduzione, rimane pur sempre consistente tanto che le connesse problematiche sono state recentemente prese in considerazione e affrontate dalle disposizioni di cui all’articolo 14 del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 8 luglio 2021, n. 135 in materia di procedimento sanzionatorio.
In particolare, l’articolo 14 del menzionato regolamento prevede che il mancato assolvimento dell’obbligo formativo può essere accertato, trascorsi novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro (19 ottobre 2021), soltanto nei riguardi dei revisori legali dei conti che non avessero regolarizzato entro tale termine il debito formativo sussistente al 31 dicembre 2019. In altre parole, la disposizione regolamentare consente ai revisori iscritti al registro di regolarizzare l’eventuale debito formativo a loro carico relativamente agli anni 2017, 2018 e 2019, entro il 17 gennaio 2022. Con la circolare n. 3/2020 il MEF aveva disposto che qualsiasi regolarizzazione del debito formativo pregresso sarebbe stata consentita esclusivamente tramite la piattaforma dedicata.

A decorrere dal 19 ottobre 2021, pertanto, agli iscritti è concesso un periodo di novanta giorni per regolarizzare eventuali debiti formativo a loro carico. Il periodo di novanta giorni si conclude, quindi, in data 17 gennaio 2022.
Con riguardo al periodo di novanta giorni concesso dalla norma, il MEF deve prendere atto delle frequenti interruzioni che hanno interessato la funzionalità della piattaforma dedicata; tali interruzioni, dovute a motivi tecnici nella maggior parte dei casi non prevedibili, potrebbero aver ridotto, nei fatti, il periodo di novanta giorni previsto dalla disposizione regolamentare richiamata.
Di conseguenza, ai fini di una corretta applicazione della norma, il MEF ritiene opportuno comunicare agli iscritti che avessero patito le interruzioni dovute a cause di forza maggiore che hanno interessato la piattaforma, che non sarà presa a riferimento quale data dell’accertamento previsto dall’articolo 11 del più volte citato D.M. n. 135 del 2021 la data del 18 gennaio 2022, ma una data più congrua che tiene conto dei giorni di inattività della piattaforma stessa.
Una ricognizione ragionevolmente accurata delle interruzioni intervenute dalla data del 19 ottobre 2021 evidenzia un periodo di inattività complessivamente quantificabile in 30 giornate.
La corretta attuazione della disposizione di cui all’articolo 14 del regolamento, nonché le obiettive ragioni di tutela degli iscritti al registro della revisione cui le disposizioni concedono la possibilità di recuperare il debito formativo pregresso, richiedono che nel computo di tale complessivo periodo si tenga conto di tali situazioni, nonché delle ragioni di tutela dei revisori sopra esposte. Pertanto, MEF comunica che la posizione degli iscritti riguardo al debito formativo pregresso degli anni 2017. 2018 e 2019 sarà valutata alla data del 17 febbraio 2022.
Infine, precisa che gli obblighi formativi relativamente agli anni 2017, 2018 e 2019 si considerano regolarmente assolti nel periodo concesso dall’articolo 14 del D.M. n. 135 del 2021 qualora l’iscritto interessato abbia maturato complessivi 60 crediti, di cui almeno 30 caratterizzanti ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 39 del 2010, senza avere necessariamente riguardo alla precisa imputazione dei crediti stessi ai singoli anni del triennio. Pertanto, è in regola il revisore che durante il periodo concesso dal D.M. n. 135/2021 maturasse 60 crediti complessivi di cui almeno 30 caratterizzanti purché imputati a uno qualsiasi dei tre anni considerati. Infatti, è sufficiente a rispondere alle prescrizioni del provvedimento regolamentare il momento materiale del recupero, che deve ricadere entro il periodo concesso.